Investimenti sui settori che condizionano la produttività agricola (sementi, irrigazione, macchinari) e sullo stoccaggio, sia virtuale (tramite acquisto di futures garantiti dal Programma Alimentare Mondiale) che reale, una maggiore integrazione dei mercati regionali, la creazione di un meccanismo finanziario internazionale per gli aiuti d’emergenza. Sono alcuni degli interventi correttivi proposti alla 77.a Assemblea generale dell’ONU dal rapporto del segretario generale dell’ONU sull’insicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo, pubblicato nei giorni scorsi.
Il documento fornisce un’ampia disamina della struttura geografica e sociale, nonché delle cause economiche della malnutrizione. Inoltre, esso delinea, appunto, alcune aree in cui è possibile intraprendere degli interventi correttivi. La constatazione d’apertura è molto chiara: a seguito di una costante diminuzione dell’incertezza alimentare dall’inizio del secolo, la tendenza sta subendo un’inversione dovuta alle attuali crisi geopolitiche e al rialzo dei prezzi dei generi alimentari di base. Fra le cause strutturali della malnutrizione -definita come un apporto calorico e di macronutrienti inferiore del 25-30% rispetto alla media dei Paesi sviluppati – vi sono infatti, oltre che ragioni produttive e tecnologiche relative alla bassa rendita delle colture, deficit significativi nella bilancia commerciale. È soprattutto a causa di tale disequilibrio nelle importazioni che i Paesi a rischio sono esposti ad un aggravarsi della situazione alimentare, essendo più sensibili alla volatilità dei prezzi. Il 42% dell’import di gran parte dei Paesi meno sviluppati è costituito infatti da cereali. Se sommato a quello dello zucchero e degli oli e grassi, tale valore raggiunge i due terzi delle importazioni. Inoltre, a livello macroeconomico si sottolinea che, a partire dal 1990 circa, le quote di derrate precedentemente fornite tramite aiuti internazionali sono state sostituite dallo scambio commerciale, ed oggi il 90% dell’approvvigionamento è demandato ai mercati. Le quote di esportazione dei Paesi in via di sviluppo, estremamente basse, aggravano il quadro della bilancia commerciale. Le crisi belliche e pandemiche hanno inciso sulle emergenze alimentari, danneggiando le catene produttive e le infrastrutture.
Il documento indica alcune aree di intervento. In primo luogo occorrono massicci investimenti nel settore agricolo, soprattutto per fattori condizionanti la produttività come fertilizzanti, macchinari, irrigazione, sementi, strumenti per il trasporto e lo stoccaggio, sia virtuale (acquisto di futures garantiti dal Programma Alimentare Mondiale) che reale (quest’ultimo spesso caratterizzato da gravi perdite). Occorre anche una migliore integrazione dei mercati regionali e una loro maggior trasparenza e funzionalità. Inoltre si suggeriscono leve di controllo dei prezzi come un tetto internazionale o l’uso di scorte da immettere nel mercato per stabilizzarlo. Importante sarebbe anche un meccanismo finanziario internazionale per gli aiuti d’emergenza, implementato dal Fondo Monetario Internazionale in ottemperanza alla Decisione di Marrakesh. Interventi di stoccaggio sono stati realizzati in Pakistan, nel Sahel e in oriente sotto l’egida dell’ASEAN.
Una cesura storica è rappresentata, secondo il report, dall’adozione nel 1995 dell’Accordo sull’Agricoltura di libero scambio nel mercato alimentare proposto dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Se in precedenza i prezzi dei beni alimentari si attestavano su valori mediamente bassi, dopo l’integrazione il mercato è divenuto globalmente più vulnerabile rispetto alle restrizioni nelle importazioni, e si è determinata parallelamente una concentrazione elevata in pochi Paesi produttori. Tale combinazione di fattori è alla radice dell’emergenza dovuta alle restrizioni nell’export dell’Ucraina e della Federazione russa. Ad aggravare il quadro, ovviamente, c’è il nesso fra prezzi alimentari ed energetici.