Con un indice di uguaglianza pari a 65/100, nel rapporto del 2023, l’Italia si è posizionata al 14° posto nella speciale classifica curata dall’Istituto europeo per l’eguaglianza di genere (EIGE).. Nonostante il punteggio complessivo italiano si collochi al di sotto della media europea (68,6/100), l’Italia si inserisce tra gli Stati che hanno fatto registrato il miglior trend generale di recupero della disuguaglianza di genere a livello europeo nel corso degli ultimi anni (+ 1,2 punti rispetto al 2021 e +11,7 punti rispetto al 2010). Lo rileva un dossier dell’ufficio studi della Camera dei deputati pubblicato nei giorni scorsi.
A partire dal 2020, l’EIGE misura ogni due anni le tendenze e i vari progressi nell’ambito dell’uguaglianza di genere nel quadro europeo. Lo strumento principale utilizzato per monitorare il livello di disuguaglianze di genere presenti nei diversi Stati membri europei è il cosiddetto Indice sull’uguaglianza di genere (gender equality index), all’interno della quale ad ogni paese osservato viene assegnato un punteggio complessivo compreso tra 1-100 (dove 1 equivale ad una disuguaglianza totale, mentre 100 corrisponde al raggiungimento di una piena uguaglianza di genere) basandosi sull’analisi di sei specifici domini: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute, oltre alle aree satelliti della violenza contro le donne e delle disuguaglianze intersezionali.
I punteggi dell’Italia sono inferiori a quelli della media UE in tutti i settori, ad eccezione di quello della salute. I punteggi più alti dell’Italia riguardano i domini della salute (89 punti) e del denaro (80,5 punti), in cui si colloca al 10° e 14° posto rispetto agli altri Stati membri. Le disuguaglianze di genere sono più pronunciate nei domini del potere (56,9 punti), del tempo (59,3 punti) e della conoscenza (59,5 punti). L’Italia ha il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell’UE nel settore del lavoro (63,2). Sono infatti enormi le disparità di genere presenti nel sottodominio della partecipazione al mercato del lavoro, dove la partecipazione maschile risulta al 54%, mentre quella femminile meno del 25%. La bassa percentuale della partecipazione femminile al mondo lavorativo può essere attribuita al crescente impegno delle donne nel lavoro non retribuito di faccende domestiche e di assistenza e cura alla persona, che continuano ad impattare in modo negativo le prospettive occupazionali delle donne. Secondo uno studio condotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 2018), in Italia, una donna svolge mediamente 5 ore di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno, rispetto all’un’ora e 48 minuti svolti da un uomo. Dunque, le maggiori responsabilità nell’ambito domestico e di assistenza e cura alla persona, unita alla «penalità all’occupazione legata alla maternità» fanno sì che una larga quota delle donne di età lavorativa siano bloccate nella partecipazione al mercato del lavoro, oltre che ad ostacolarne la qualità del lavoro.
Per quanto riguarda invece la presenza femminile nelle istituzioni italiane, osserva il rapporto, essa si è mostrata «contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice». Difatti, nei 68 governi che si sono susseguiti a partire dalla nascita della Repubblica Italiana, tredici governi erano composti esclusivamente da uomini. La presenza delle donne al governo diventa una costante solamente con il governo Fanfani V (1982) con incarichi prevalentemente nei settori sociali, della sanità e dell’istruzione.
Storicamente, la partecipazione delle donne nel Parlamento italiano era inferiore al 30% (soglia minima per un’efficace rappresentanza di genere); una situazione che comincia a mutare a partire dalla XVII legislatura (30,1%) e si rafforza ulteriormente con le elezioni del 2018, durante la quale sono state applicate per la prima volta le misure previste dalla legge elettorale n.165 del 2017: una serie di «specifiche prescrizioni nella presentazione delle candidature volte a garantire l’equilibrio di genere nella rappresentanza politica». Non a caso, nella XVIII legislatura sono state elette 225 su 630 seggi disponibili. Nel tentativo di promuovere la parità di genere, la legge 165/2017 prevede, a pena inammissibilità, la collocazione dei candidati alle liste nei collegi plurinominali, sia della Camera che del Senato, secondo un ordine alternato di genere. Inoltre, le candidature presentate da ogni lista (o coalizioni di liste) nei collegi uninominali a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%. Con l’applicazione della legge, «all’aumento delle candidature di sesso femminile ha dunque fatto seguito un aumento delle elette»; tuttavia, attualmente, si sta assistendo per la prima volta ad un calo della rappresentanza femminile nel Parlamento, con le donne che ricoprono solo il 33% delle cariche effettive e con quasi tutti i gruppi parlamentari a maggioranza maschile.
Allo stesso modo, dei 38 senatori a vita nominati per aver «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario» nel corso della storia italiana, solamente 4 sono donne: Camilla Ravera (1982), Rita Levi Montalcini (2001), Elena Cattaneo (2013) e Liliana Segre (2018).
In riferimento alle posizioni di vertice ricoperte da figure femminili, degne di nota sono l’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (di rilievo perché la prima donna a rivestire tale ruolo); Maria Elisabetta Alberti Casellati, prima Presidente donna del Senato e Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini per avere ricoperto la terza carica dello Stato di Presidente della Camera dei deputati.
A livello regionale, la partecipazione femminile nelle assemblee e negli esecutivi regionali si aggirano rispettivamente al 21,7% (rispetto al 34,2% registrato a livello europeo), con l’unica Presidente della regione in Umbria, e al 26,2%.
Per accrescere l’inclusione e di ridurre le molteplici discriminazioni subite dalle donne e gli svantaggi di sviluppo che ne conseguono, il governo italiano ha compreso nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, 2021) la Strategia Nazionale per la parità di genere 2021/2026, in linea con la Gender Equality Strategy 2020-2025, adottata dalla Commissione Europea, con la quale intende guadagnare 5 punti nella classifica dell’EIGE entro il 2026 e rientrare tra i primi 10 paesi europei nell’arco di dieci anni.