Food insecurity: le 20 zone del mondo più a rischio

Il Programma Alimentare Mondiale e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura hanno pubblicato il nuovo Hunger Hotspots Report, un’analisi sui livelli di insicurezza alimentare attuali nel mondo e sulle prospettive di deterioramento che si potrebbero presentare nei prossimi mesi del 2022. Sono 20 i Paesi, compresa la regione del Sahel, identificati come zone calde, dove una serie di condizioni sociali, economiche e naturali si intersecano e aumentano le manifestazioni di privazione al punto tale da mettere a rischio la vita di milioni di persone.

Il riferimento per identificare i vari gradi di insicurezza alimentare largamente accettato dalla comunità internazionale è la classificazione integrata IPC[1], la cui scala di insicurezza alimentare acuta distingue cinque fasi di gravità che vanno dalla fase 1, dove è minima o assente, alla fase 5 dove si parla di catastrofe e/o carestia e a cui vengono assegnati diversi obiettivi prioritari da raggiungere per migliorare le condizioni.  Si parla di sicurezza alimentare quando tutti, in ogni momento, possono avere l’accesso economico, fisico e sociale ad un’alimentazione sicura e nutriente che soddisfi le esigenze e le preferenze alimentari per una vita attiva e sana. Quando non sono garantite certe soglie riguardanti le quattro dimensioni della disponibilità, dell’accesso, dell’utilizzo e della stabilità nel tempo del cibo, si entra nelle fasi più preoccupanti di crisi (IPC fase 3) ed emergenza (IPC fase 4) fino alle condizioni più gravi di catastrofe per cui le famiglie affrontano un’estrema mancanza di cibo, anche dopo aver impiegato tutte le strategie straordinarie perché i normali mezzi di sussistenza non sono più disponibili. Sono evidenti fame, morte, indigenza e livelli di malnutrizione acuta estremamente critici che richiedono interventi immediati. Se ci sono aree in cui almeno una famiglia su cinque vive queste condizioni gravi si può parlare di carestia.

Partendo da queste definizioni, sono stati valutati i fattori chiave dell’insicurezza alimentare e categorizzati in violenza organizzata e rischi di conflitto, rischi economici e rischi naturali, ai quali si aggiunge il fattore aggravante dei vincoli all’accesso degli aiuti umanitari.

Secondo le ultime stime, i conflitti o le violenze organizzate rimangono cruciali per la Repubblica Centrafricana, il Sahel centrale, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, la Nigeria, il Mozambico, il Myanmar, il Sudan, il Sud Sudan e lo Yemen. Qui, le conseguenti riduzioni di accesso e disponibilità di cibo hanno costretto le popolazioni a spostarsi, ed è probabile che queste tendenze continuino nel periodo di previsione. Tra questi, allarmano particolarmente i conflitti nel Tigrè nel nord della Nigeria, tormentata dalla violenza dei gruppi armati, e nello Yemen, dove da sette anni la guerra continua senza sosta. Per i rischi climatici, dal 2020 si sta verificando nel mondo un complesso insieme di eventi atmosferici chiamato “la Niña” che continuerà a mettere in pericolo la produzione alimentare in alcuni paesi del Grande Corno d’Africa, dell’Asia e del Pacifico. Gravi danni all’agricoltura faranno incrementare i prezzi dei generi alimentari, aumentando i rischi di insicurezza per le famiglie vulnerabili limitate da un reddito insufficiente. L’economia mondiale, nonostante la ripresa del 2021, continua a risentire delle dinamiche innescate dalla pandemia; la più evidente oggi è l’aumento vertiginoso dell’inflazione provocata dall’interruzione delle catene di approvvigionamento e dall’aumento dei prezzi del carburante e dell’energia. La Banca Mondiale ha stimato che nel 2021 le persone che hanno vissuto in povertà sono state 97 milioni in più rispetto al 2019. Alla diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie si aggiungerà anche l’attuale aumento del prezzo dei fertilizzanti, essenziali per i raccolti. Il rapporto sottolinea che i Paesi maggiormente in pericolo sono quelli che erano in difficoltà anche prima della pandemia, facendo riferimento anche a Libano, Repubblica Araba Siriana, Afghanistan, Haiti, Honduras, Colombia e Somalia. In tutte queste aree, l’assistenza umanitaria che è fondamentale per salvare vite umane e prevenire gli scenari più estremi, è spesso limitata da violenze, burocrazia, restrizioni e impedimenti di movimento. Cinque hotspots sono considerati i più colpiti a causa dell’insicurezza persistente: l’Afghanistan, l’Etiopia, il Mali, la Nigeria e la Repubblica Araba Siriana.

I Paesi con situazioni catastrofiche o con elementi potenzialmente conducibili a scenari di carestia sono ancora Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen. La loro classificazione è condizionata anche dall’assenza preoccupante di dati recenti, disponibili solo per la Nigeria, mentre il Madagascar non è più al livello di allerta massimo grazie alla recente copertura assistenziale umanitaria.

Più specificamente, da alcuni dati[2] emerge che ci sono quasi 18 milioni di persone che necessitano di assistenza alimentare in Etiopia ed è probabile che i livelli di insicurezza alimentare acuta siano aumentati oltre i livelli di emergenza e catastrofe (IPC fase 4 e 5) con 401 000 persone a rischio di carestia. Anche in Sud Sudan, dove l’analisi più recente prevedeva oltre 2,4 milioni di persone nella fase di emergenza e 108.000 in quella di catastrofe, l’insicurezza alimentare è probabilmente peggiorata e aumenterà ancora. In Nigeria, si prevede che circa 620.000 persone dovranno affrontare situazioni di emergenza, che si sommano ai 18 milioni di persone in condizioni di crisi o peggio di insicurezza alimentare acuta. L’ultima analisi in Yemen prevedeva nel 2021 16,1 milioni di persone ai livelli di crisi o peggio, tra cui 5 milioni in stato di emergenza e 47 000 in contesti di catastrofe: nonostante un incremento di assistenza tra aprile e luglio, nella seconda metà dell’anno gli indicatori chiave sono peggiorati.

Tra gli altri Paesi di massima preoccupazione spiccano l’Afghanistan, a causa delle conseguenze della crisi politica di agosto, il Sudan, per il recente colpo di stato e la regione del Sahel, inserita nel gruppo solo a partire da questo rapporto. Secondo le proiezioni, entro marzo 2022 circa 8,7 milioni di Afghani scivoleranno in livelli critici e potenzialmente catastrofici di insicurezza alimentare acuta, causati dalla siccità e dal crollo dell’economia che potrebbe portare quasi tutta la popolazione sotto la soglia di povertà (97%). In Sudan, l’ultima Panoramica sui bisogni umanitari dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari ha confermato che le persone che richiederanno cibo e assistenza nel 2022 saranno circa 10,9 milioni. Si prevede infine che il Sahel, a causa delle piogge irregolari, dei prezzi alimentari elevati e dei rischi di sicurezza, raggiungerà oltre 1,1 milioni di persone in stato di emergenza tra giugno e agosto 2022.

Questi sono comunque esiti possibili qualora determinate condizioni persistano in futuro, e non scenari che hanno la più alta probabilità di avverarsi qualunque cosa accada: le informazioni contenute dovrebbero essere studiate per aumentare il monitoraggio globale e frenare ulteriori peggioramenti negli hotspots rilevati.

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