Il 27 gennaio, è ormai consolidato nella nostra cara Italia come la “Giornata della Memoria” e ci invita a un momento di forte riflessione collettiva, connettendoci direttamente con gli eventi di un drammatico passato non troppo lontano. Essa ci obbliga a tornare indietro a quel 27 gennaio 1945, quando, grazie all’avanzata dell’Armata Rossa nella sua marcia verso Berlino, cadde l’ultimo velo sugli orrori di Auschwitz e sugli altri “campi di sterminio” disseminati sia nell’Europa orientale che nel cuore della Germania stessa..
Tentare di visualizzarne l’immensità è un esercizio che supera, credo, la capacità umana di comprensione e sfida perfino l’idea di Dio.
Eppure quell’immane e ingiustificabile strage, nella quale si è tentato di cancellare ogni parvenza di umanità, non è stata la fine ma ha significato per il popolo ebraico un nuovo inizio: il percorso per la costruzione dello Stato d’Israele, proclamato nel maggio del 1948, è stato uno straordinario esempio di ribaltamento storico, di passaggio dall’afflizione di una prova senza precedenti alla speranza di edificare finalmente una casa dalle fondamenta sicure.
Non sarebbe stato possibile senza la sensibilità, che troviamo già nell’Antico Testamento, per la Storia come percorso guidato, come traiettoria che, attraverso le avversità, conduce ad un fine: anche il dolore più profondo ha un senso, anche dalle ceneri si può risorgere, come ci ricorda la bella profezia di Isaia sul “germoglio di Iesse”.
Nel Giorno della Memoria, rendiamo omaggio a coloro che hanno perso la vita e celebriamo lo spirito indomabile di quanti sono riusciti a risollevarsi e hanno trovato la forza di guardare avanti. Assumiamo l’impegno collettivo a ricordare ossia a ri-dare al cuore quanto avvenuto per perseguire la giustizia e promuovere l’educazione responsabile, affinché le generazioni future possano comprendere e impedire che si ripetano tragedie come l’Olocausto.
Educhiamo allora i nostri giovani al rispetto della vita: la vita nascente, la vita che fiorisce e la vita che si spegne, esse hanno uguale dignità in ogni essere umano, in ogni popolo, come ci ricorda anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, della quale abbiamo celebrato recentemente, nel mese di dicembre 2023, il suo 75° Anniversario.
Con questo spirito riflettiamo seriamente sulle vive parole di chi ha visto i cancelli di Auschwitz aprirsi, di chi ha fatto l’esperienza dell’indicibile e ha provato, anche dopo decenni di comprensibile silenzio, a raccontarlo. Il loro vissuto, colmo di desiderio di vita nuova, è un ponte verso un futuro fondato sulla comprensione reciproca, sulla giustizia e sul rispetto della dignità umana.
Bisogna allora avere il coraggio di attraversarlo, quel ponte, altrimenti l’odio e il risentimento, che hanno generato nuovi crimini anche contro gli ebrei e dei quali non sentivamo alcuna nostalgia dopo ben 79 anni, prevarranno.
Provoca dolore vedere come la vita umana non sia ancora oggetto di profondo e sacrale rispetto ma diventi spesso oggetto di contesa con stile da tifoseria urlante, facendo così dimenticare il vissuto di quanti sono accomunati dallo stesso dolore, dalla stessa tragedia. Mi riferisco in modo particolare ai numerosi bambini e bambine che, in tante parti del mondo, anche la cara Terra Santa, sono violati, uccisi, tenuti in schiavitù, sfruttati, ignorati, usati come scudi umani o pretesto per altre stragi.
Ciò ricorda a tutti che la pace è un anelito universale ma, allo stesso tempo, che si può realizzare solo con la fattiva partecipazione di tutti, tralasciando sterili contrapposizioni che impongono preliminarmente di riconoscere solo i diritti di una parte come base per una efficace trattativa. Ricordare il tragico passato della Shoah, può dare a tutti ma soprattutto a chi davvero è impegnato per la composizione dei conflitti, la determinazione e il discernimento necessari per non commettere errori similari o evitare che altri ne commettano.
In questo giorno riaffermiamo con decisione il nostro impegno a combattere contro l’antisemitismo e contro ogni altra forma di odio e di disprezzo. Il nostro tributo sia allora una promessa: quella di restare vigili e attivi nella difesa dei valori di libertà, umanità e giustizia. Così onoriamo doverosamente le vittime dell’Olocausto, che inorridirebbero dinanzi ai popoli in guerra, e rendiamo il miglior servizio alla costruzione di una pace giusta e duratura.
Paolo Giordani,
Presidente Istituto Diplomatico Internazionale.