Sollecitata da una giornalista, Giorgia Meloni è tornata sul tema dell’”irreversibilità della scelta dell’Euro” – principio solennemente richiamato da Mario Draghi nelle sue dichiarazioni programmatiche al Parlamento – per ribadire la posizione che la leader di FdI, a dire il vero, ha sempre sostenuto: “L’Euro non è irreversibile, è una moneta e non un dio, che cos’è irreversibile a parte la morte?”.
Senza sconfinare nella filosofia (sull’irreversibilità della morte rischieremmo di impantanarci) e limitando al massimo l’escursione nella politica politicante, possiamo invece domandarci se, e in che senso, l’Euro sia giuridicamente una scelta irreversibile. La risposta non può che essere affermativa.
L’irreversibilità della scelta dell’Euro ha un sicuro fondamento nel diritto dell’Unione Europea. Invero, i trattati costitutivi dell’Unione non prevedono l’uscita dall’Euro, attualmente moneta comune di 19 dei 27 Stati membri dell’UE. Il trattato di Lisbona del 2007, attraverso l’inserimento dell’art. 50 nel trattato sull’Unione Europea ha previsto la possibilità per uno Stato membro di uscire dall’Unione (il recesso del Regno Unito dal 1° febbraio 2020 ne ha costituito la prima tormentata applicazione), ma non da una sua politica. Né appare verosimile che uno Stato membro che uscisse dall’Unione, possa poi farvi ritorno negoziando, unitamente all’adesione, delle deroghe da talune politiche.
La storia delle deroghe (“opt-out”) ai trattati insegna, infatti, che esse sono ottenute, in occasione delle revisioni, come merce di scambio dell’unanimità richiesta per la loro firma.
A questo quadro ha sempre fatto riferimento Mario Draghi da presidente della Banca Centrale Europea. Basti ricordare, infatti, che, nel novembre 2011, appena assunta la presidenza della BCE – con l’Eurozona in recessione e con la speculazione che scommetteva sull’uscita dall’euro dei Paesi più deboli (tra cui Italia e Spagna) – Draghi chiese un parere giuridico al Servizio legale della BCE e, forte dell’opinione autorevole nel senso dell’irreversibilità, proprio in occasione del discorso tenuto il successivo 26 luglio alla “Global Investment Conference” di Londra, divenuto giustamente famoso per la formula “whatever it takes”, affermò senza mezzi termini: “Pensiamo che l’Euro sia irreversibile. E non è una parola vuota, perché nella mia premessa ho esattamente detto quali azioni sono state fatte ed esse sono state fatte per renderlo irreversibile”.
Non mancarono, com’è noto, le azioni conseguenti. Si pensi alle cosiddette operazioni non convenzionali della BCE, che hanno conosciuto un forte impulso durante la presidenza Draghi in relazione alla temperie finanziaria internazionale.
Innanzitutto le Outright Monetary Transactions (Operazioni definitive monetarie) del settembre 2012: per frenare la speculazione fu sufficiente annunciarle, dato che nessuno Stato membro dell’Eurozona ha mai fatto domanda di accesso al relativo programma, che impegnava a realizzare effettive riforme strutturali.
Poi il celebre Quantitative Easing, annunciato nell’autunno del 2014 ed iniziato nel marzo del 2015, con l’enorme iniezione di liquidità nel sistema tramite l’acquisto massiccio da parte della BCE di titoli pubblici, per tenere bassi i tassi d’interesse dei Paesi più deboli dell’Eurozona.
Queste azioni attirarono i fulmini della Corte Costituzionale Federale tedesca ma, nonostante ciò, furono ritenute dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in due sentenze del 2015 e 2018, pienamente rientranti nel mandato della BCE. È evidente, infatti, che il collasso dell’Euro minaccerebbe la stabilità dei prezzi, aspetto che i giudici di Lussemburgo hanno elevato, con una sentenza del 2012, a obiettivo di rango costituzionale.
Entro i limiti sopra indicati, la scelta dell’Euro è dunque irreversibile. Per uscirne, bisognerebbe uscire dall’Unione Europea. Ma nessuno, tra i sovranisti di casa nostra, sembra ambire a tanto.