Un anno fa, il 9 marzo 2020, l’Unione europea e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza hanno pubblicato una comunicazione con cinque proposte tematiche per la partnership con l’Africa: transizione verde, trasformazione digitale, crescita sostenibile e lavoro, pace e governance, migrazione e mobilità.
E’ troppo presto per una valutazione complessiva dei passi compiuti per dare concreta attuazione a questa strategia. Ma uno studio recente della Fondazione Konrad Adenauer, a firma di Michael Tanchum, richiama l’attenzione su un problema, quello dei collegamenti transmediterranei, che riguarda specialmente l’Italia e che evidenzia la debolezza del disegno europeo.
L’autore prende in considerazione le tre direttrici, occidentale, centrale e orientale, della mobilità tra Europa ed Africa.
La prima parte dalla Germania e raggiunge Dakar attraverso la Francia, la Spagna e il Marocco. La terza arriva all’Egitto passando per Boemia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Grecia.
La seconda, la più importante, ha come hub centrale il porto di Taranto: dalla Germania, attraverso l’Austria e l’Italia passa per Malta e Biserta e può connettersi alle infrastrutture stradali che portano ad Algeri e a Tunisi e di lì potenzialmente fino al cuore del continente nero, a Lagos e N’Djamena.
In assenza di una politica coerente dell’Ue per incentivare gli Stati membri e le imprese europee a cooperare efficacemente con le nazioni nordafricane, osserva lo studio, i corridoi Europa-Africa sono stati creati o rafforzati con l’apporto determinante di attori esterni all’Unione stessa. E la tendenza continuerà.
Il caso più eclatante è quello del Pireo, gestito dalla China Ocean Shipping company (COSCO), i cui servizi intermodali collegano i mercati e le industrie dell’Europa centrale con i porti egiziani, dove i cinesi hanno fatto forti investimenti, e con l’enorme porto multifunzionale di Gibuti, che dal 2017 ospita anche la prima base militare cinese all’estero.
Ma è sul tratto Nord Europa – Italia – Tunisia che si sta giocando la partita più interessante.
Ne è protagonista il gigante turco Yilport, del gruppo Yildirim, che il 30 luglio 2019, a fronte di investimenti per 400 milioni di euro, ha ottenuto la concessione, per 49 anni, delle aree e della banchina del “molo polisettoriale” del Porto di Taranto e prevede di portarne la capacità a 4 milioni di TEU (152 milioni di metri cubi) entro il 2028. Yilport, che ha negato qualsiasi rapporto di partnership con la COSCO a Taranto, controlla anche il 50 per cento del Freeport terminal di Malta.
Completa il panorama l’accordo tra Cina e Algeria per la costruzione di El Hamdania, un hub intermodale da 6,5 milioni di TEU a Cherchell, 80 chilometri ad ovest di Algeri.
Le prospettive di realizzazione, a causa degli alti costi e del rallentamento economico generato dalla pandemia di Covid, sono ancora incerte. Ma il progetto c’è. E somiglia molto al tassello mancante per completare il percorso dal Nord Europa all’Africa subsahariana.
Ogni spazio lasciato dall’Ue nello sviluppo della connettività Europa-Africa, conclude lo studio della Fondazione Adenauer, sarà riempito da Cina, Russia, Turchia e dagli Stati arabi del Gulf cooperation council.
Insomma, i buoni propositi non bastano. Senza partenariati significativi con le nazioni nordafricane, nei futuri collegamenti transmediterranei gli interessi europei avranno un peso molto minore del previsto.