Negli ultimi tempi, per ovvie ragioni, i media parlano spesso di “diplomazia (o geopolitica) dei vaccini” o di “diplomazia sanitaria”. Nulla di nuovo sotto il sole. La “diplomazia sanitaria”, con la sua variante vaccinale, ha una lunga storia, di centosettant’anni almeno. La prima riunione internazionale nella quale si affrontò il tema, a livello di Stati, fu la Conferenza di sanità internazionale, convocata a Parigi nel 1851, pochi anni dopo l’epidemia di colera che imperversò in Europa per quasi vent’anni (1830-1847). Agli inizi del Novecento risale la creazione delle prime organizzazioni internazionali con competenza sanitaria: l’Ufficio sanitario pan-americano (1902), l’Ufficio internazionale di Igiene pubblica (1907) e l’Organizzazione di Igiene della Società delle Nazioni (1923).
Accanto alle iniziative multilaterali, appena accennate, esiste anche una diplomazia sanitaria bilaterale, che però è fenomeno più recente. Si è concretizzata nell’invio di squadre mediche, come ha fatto la Cina in Algeria fin dal 1963, o con la fornitura di equipaggiamenti o la formazione di personale sanitario. In particolare, gli Stati che garantiscono l’invio di materiale sanitario accrescono la loro influenza geopolitica o recuperano rapporti politici ed economici attraverso una forma di persuasione basata sul cosiddetto “potere morbido” delle forniture mediche, strumento della politica estera. La pandemia da COVID-19 ha dato luogo ad applicazioni molto interessanti, per esempio l’invio di dispositivi individuali di protezione, le mascherine di cui la Cina ha esportato oltre 200 miliardi di pezzi, o le squadre di virologi e le attrezzature per la sanificazione mandate da Putin a Bergamo, nel marzo 2020, intitolando bondianamente l’operazione “Dalla Russia con amore”. O, appunto, la “diplomazia dei vaccini”.
In quest’ultimo ambito, la Cina è stata la prima a muoversi, con una strategia binaria. Ha iniziato la sperimentazione dei propri vaccini in vari paesi dell’America Latina, in Asia e in Medio Oriente, primi destinatari della produzione. Poi attraverso l’invio di dosi: così, il 6 febbraio 2021, un aereo della Ethiopian Airlines ha viaggiato da Pechino ad Addis Abeba, carico di confezioni di CoronaVac della Sinovac Life Sc, successivamente trasportate in Ciad. Sull’Etiopia, d’altra parte, la Cina da tempo esercita una forte influenza geopolitica attraverso l’assistenza sanitaria, avviata quando ministro della Salute prima e degli Esteri poi era Tedros A. Gebreyesus, attuale direttore generale dell’OMS. Alla sua nomina, fortemente appoggiata dalla Cina, vanamente si oppose nel 2017 il candidato britannico David Navarro, sostenuto da Stati Uniti e Canada. Con la regia di Pechino, i due grandi produttori nazionali Sinovac e Sinopharm hanno concluso contratti per forniture a basso costo di vaccini non solo nell’area asiatica, con Sri-Lanka, Filippine, Malaysia, Cambogia, Indonesia, Pakistan e Thailandia, ma anche nell’America del Sud (Brasile, Cile, Perù e Argentina) e in Marocco, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Guinea Equatoriale. Nella mischia sono entrati a pieno titolo i media cinesi, controllati dal governo, per sminuire l’efficacia e l’affidabilità dei vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna e magnificare, invece, i vaccini della Repubblica popolare.
Analogamente Israele, pur non producendo vaccini, nel febbraio di quest’anno ha destinato lotti in eccesso anzitutto al personale medico palestinese in Cisgiordania e ai pendolari palestinesi che quotidianamente si recano a lavorare in Israele, poi ai paesi che, dopo gli accordi di Abramo del 13 agosto 2020, si sono recentemente avvicinati al governo del primo ministro Benjamin Netanyahu, in particolare quelli che hanno spostato o annunciato che avrebbero spostato le loro ambasciate da Tel Aviv a Gerusalemme. Una fornitura di vaccini sarebbe andata anche ai nemici siriani, nell’ambito di uno scambio di prigionieri.
Anche l’India, che produce su licenza il vaccino AstraZeneca in quantità superiori a quanto iesca a somministrarne nel paese, ha donato milioni di dosi ai vicini Nepal, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Mauritius, Myanmar, Seychelles, Afghanistan e addirittura al Brasile, che tanto vicino non è.
La Federazione russa ha realizzato e promosso il vaccino Sputnik V, che è stato inviato in Bielorussia, Argentina, Messico, Iran e festosamente accolto in Ungheria, anche se l’Agenzia europea del farmaco non ne ha ancora autorizzato l’uso nell’Unione europea. D’altra parte la produzione del vaccino è prevista in forma decentrata in alcuni stabilimenti in Italia, Francia e Germania.
Negli Stati Uniti, infine, l’arrivo di Joe Biden alla presidenza e la migliorata situazione epidemiologica interna hanno ridotto l’impatto della dottrina “America First”, bandiera di Donald Trump, e, per controbilanciare l’influenza cinese nella zona asiatica, sono stati conclusi accordi con Giappone, Australia ed India: un prepotente ritorno di Washington sulla scena della diplomazia sanitaria, che aveva avuto il suo punto di massimo sviluppo durante l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, tra il 2013 ed il 2016. Il 21 gennaio scorso, inoltre, Biden ha revocato il ritiro degli Stati Uniti dall’OMS.
Il punto sulla situazione e, insieme, un importante rilancio delle diverse iniziative vaccinali su scala multilaterale e bilaterale si avranno durante il Global Health Summit 2021, che il governo italiano, pandemia permettendo, organizzerà, d’intesa con la Commissione europea, il prossimo 21 maggio a Roma, per affrontare, con approccio sinergico, le sfide connesse all’emergenza sanitaria. Sempre a Roma, il 5-6 settembre, si terrà il G20 Salute, altro appuntamento di grande rilievo. Nel frattempo, molto opportunamente, il presidente Mario Draghi, già al suo esordio da presidente del Consiglio al vertice dei capi di Stato e di Governo del G7, tenuto il 19 febbraio in videoconferenza, ha sottolineato la necessità di regole condivise e principi trasparenti. Tale linea di fermezza è stata ribadita nella riunione virtuale del Consiglio europeo del 25 e 26 febbraio scorso, nella quale Draghi ha inviato, altresì, un chiaro messaggio alla Commissione europea perché faccia rispettare gli obblighi contrattuali alle potenti multinazionali del farmaco con le quali ha concluso contratti di fornitura di vaccini per tutta l’Ue.