REPORT FAO: NUOVO RECORD PER LA SPESA ALIMENTARE GLOBALE

Il conto globale delle importazioni alimentari raggiungerà un nuovo record quest’anno, anche se crescerà a un ritmo molto più lento rispetto a quello precedente, poiché l’aumento dei prezzi mondiali, trainato da quotazioni più elevate per frutta, verdura, zucchero e prodotti lattiero-caseari, comprime la domanda, soprattutto nei paesi economicamente più vulnerabili.

Lo afferma il rapporto biennale “Food Outlook” dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (https://www.fao.org/documents/card/en/c/cc3020en) pubblicato nei giorni scorsi. Sebbene le ultime previsioni della FAO indichino un incremento della produzione e delle scorte finali di prodotti alimentari di base, i sistemi di produzione alimentare mondiale risultano sempre più esposti agli shock derivanti da eventi climatici estremi, tensioni geopolitiche e altre forme di mutamento delle policies. Queste ultime, di conseguenza, potrebbero in qualche modo alterare il delicato equilibrio tra domanda e offerta nei diversi mercati, con effetti sui prezzi e sulla sicurezza alimentare a livello mondiale.

Il rapporto stima che la spesa alimentare mondiale toccherà 1980 miliardi di dollari nel 2023, mostrando un aumento del 1,5% rispetto al 2022. Aumenteranno le importazioni alimentari delle economie sviluppate, mentre è prevista una diminuzione del 1,5% delle importazioni del cibo per parte dei Paesi meno sviluppati e del 4,9% nei Paesi in via di sviluppo e importatori netti di prodotti alimentari.

Secondo l’economista El Mamoun Amrouk, la crescita esponenziale dell’indice dei prezzi al consumo (IPC; la misura più comunemente utilizzata per calcolare il tasso di inflazione) ha toccato tutte le regioni del mondo, comprese le economie avanzate, quelle emergenti e quelle a basso reddito. Le conseguenze macroeconomiche dell’alta e persistente inflazione includono una distorsione dei prezzi di mercato, inefficienze nell’allocazione delle risorse e un ampliamento delle disuguaglianze di reddito, i cui oneri economici più gravosi ricadono sulle fasce sociali meno abbienti. Inoltre, è probabile che l’aumento del prezzo dei beni alimentari di prima necessità possa portare a disordini sociali e a maggiori rischi finanziari, andando a compromettere gli sforzi volti al contrasto della povertà e dell’insicurezza alimentare.

In tale ottica, il rapporto ipotizza una serie di misure coordinate a livello nazionale e internazionale per diminuire i livelli di inflazione, tra cui l’adozione di politiche monetarie restrittive da parte delle banche centrali, l’attuazione di politiche di welfare attentamente mirate al sostentamento dei segmenti più vulnerabili della popolazione e politiche fiscali rigorose per garantire la stabilità finanziaria. Oltre alle misure monetarie e fiscali, i governi sono invitati prendere misure sul lato dell’offerta che possano contribuire alla riduzione dell’inflazione alimentare: ad esempio adottare tecnologie in grado di incrementare la produttività agricola e migliorare l’accesso ai mercati, investire nelle energie rinnovabili e favorire l’emancipazione delle donne e dei giovani facilitando la loro partecipazione alle filiere della produzione agroalimentare.

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